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28. ago, 2021
La condotta del lavoratore che abusi dei permessi di lavoro riconosciuti per assistere un familiare disabile, ai sensi dell’art. 33 legge n. 104/1992, impiegandoli per finalità strettamente personali e ludiche e slegate dall'assistenza al familiare disabile, è idonea a violare gravemente il vincolo fiduciario indispensabile alla corretta prosecuzione del rapporto di lavoro e a legittimare il suo licenziamento in tronco, oltre a costituire un illecito nei confronti dell’Ente previdenziale erogatore della relativa indennità compensativa.
Questo il pensiero ormai pacifico della giurisprudenza di legittimità in punto, e questo il pensiero ribadito con decisione dalla Corte di cassazione, Sezione lavoro, nell'ordinanza n. 2743 del 30 gennaio 2019 di rigetto del ricorso di un lavoratore sorpreso a trascorre qualche giorno di vacanza lontano dal luogo di assistenza del familiare disabile durante i giorni di permesso richiesti per assisterlo e per questo licenziato.
La pronuncia si inserisce, altresì, nel solco di quella parte della giurisprudenza che qualifica legittimi i controlli del datore di lavoro affidati alle agenzie investigative - purché non sconfinanti in controlli a distanza dell’attività lavorativa - e prove attendibili sia i rilievi fotografici che le prove testimoniali degli investigatori introdotte nel processo (da ultimo Cass. civ. Sez. lav. n. 4670/2019), ma pare superarlo, osservando che ai fini della rilevanza dell’abuso in sé sia “sufficiente la sola presenza del ricorrente in altro luogo e la mancata specificazione delle “altre attività” cui si sarebbe dedicato in alternativa il ricorrente”, comunque accertata.
Inammissibili, dunque i motivi del ricorso volti a sostenere l’assenza di forza probatoria delle relazioni investigative, e per ciò indimostrato l’addebito contestato, e da rigettare il ricorso, che la Corte pronuncia con condanna del lavoratore ricorrente alle spese di giudizio.